Precisiamo per prima cosa che pastorizzazione non è affatto sinonimo di sofisticazione. È una pratica che si è rivelata indispensabile ai fini della stabilità e della conservazione del vino imbottigliato. Il nome deriva dallo scienziato francese Pasteur, fondatore della moderna tecnica enologica: per primo scoprì che se i batteri possono resistere anche per lungo tempo sotto zero, nulla possono invece contro l'azione del caldo. Mediante un opportuno riscaldamento e successiva conservazione fuori dal contatto dell'aria, si inibiscono le rifermentazioni, l'acetificazione e cioè tutti i processi legati all'attività microbica del vino. Comunemente le temperature di pastorizzazione variano da 50 a 75 gradi: ovviamente sono necessari accorgimenti e attrezzature speciali perché altrimenti il vino riscaldato alle temperature di pastorizzazione può alterare il sapore del prodotto conferendogli il gusto di cotto e di ossidato. Questo procedimento
assicura in genere a tutti i vini una migliore conservabilità e permette di imbottigliare vini dolci (che per la pre senza di zucchero tendono a rifermen¬tare diventando torbidi e facendo scoppiare i recipienti) e di mantenerli tali senza dover ricorrere a sostanze antifermentative.
È una pratica utilissima anche per quei vini che dovranno fare lunghi viaggi e subire inevitabilmente sbalzi di temperature e sballottamenti. I grandi vini di qualità superiore non vengono sottoposti a questo trattamento, mentre è normalissimo nei vini destinati ad essere consumati presto.
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